La prima notizia che riporta del monastero risale al 986, anno in cui il conte Cadolo fece edificare in località Borgonuovo, presso Fucecchio, un oratorio dedicato a San Salvatore. Esso costituisce il primo edificio religioso fatto costruire dai Cadolingi, nonchè una delle loro prime proprietà nella Valdarno.
Le ragioni per le quali la stirpe comitale abbia voluto estendere i propri domini in quella zona sono probabilmente connessi alla posizione d’accesso all’Arno, una via di comunicazione vitale per i commerci. Nei pressi della città sorgeva anche un piccolo porto per il carico delle merci lungo il fiume, il cosiddetto Portum Arno. Con il passare del tempo i Cadolingi si radicarono ulteriormente nella zona con la costruzione di un castello, di una corte e di un ospedale, detto di Rosaia.
Il figlio di Cadolo, Lotario, negli anni successivi ampliò l’oratorio facendone prima una chiesa e poi un monastero, nel 1001. Il monastero sorgeva all’interno della diocesi di Lucca, ma era di proprietà dei conti.
Nella seconda metà del XI secolo, i Cadolingi si trovarono coinvolti nelle faccende religiose dell’epoca, appoggiando il nascente movimento Vallombrosiano (favorevole alla riforma gregoriana), fondato da Giovanni Gualberto, nella sua lotta contro la simonia degli alti prelati. Questo interesse per le questioni della Chiesa erano dettate anche dalla volontà dei conti di estendere il loro patrimonio a spese dei vescovati vicini.
Nel 1068 va registrato un evento, che la Chiesa Cattolica considerò miracoloso: presso un altro monastero cadolingio, a Settimo, vicino Firenze un monaco vallombrosiano di nome Pietro Aldobrandeschi, passato alla storia come Pietro Igneo, per dimostrare la veridicità dell’accusa di simonia mossa contro il vescovo di Firenze, Pietro Mezzabarba, si sottopose a una prova che consisteva nel camminare sopra una distesa di carboni ardenti rimanendone indenne. Il fatto venne considerato la prova del favore di Dio alla causa vallombrosiana, che convinse papa Alessandro II a far decadere il vescovo, che anni dopo si pentirà ed entrerà a far parte dell’ordine di Gualberto.
Aldilà dell’attendibilità e delle possibili interpretazioni dell’accaduto, ai fini della nostra esposizione sulla storia del monastero fucecchiese, va detto che per i Cadolingi l’ordalia di Pietro Igneo fu una vittoria, in quanto avvenuta in una loro proprietà da parte del partito da loro appoggiato, di conseguenza il sostegno comitale ai vallombrosiani aumentò. Il monastero di San Salvatore a Fucecchio venne affidato proprio a Giovanni Gualberto, che ne fece una base del suo ordine, Pietro Igneo ne divenne abate.
Pietro Igneo giocò un altro ruolo importante nella crescita del monastero: nel 1080, il conte Guglielmo Bulgaro venne scomunicato per aver appoggiato l’espulsione del vescovo Anselmo da Baggio dalla sua diocesi a Lucca. Pietro Igneo fece da mediatore da il conte e il papa, che nel 1082 ritirò la scomunica. In quell’occasione il monastero fucecchiese ottenne alcuni privilegi quali l’esenzione dei tributi. Nel 1085 l’abbazia ottenne il privilegio del Nullius Dioceseos, per volere di papa Greogorio VII: ovvero il monastero non dipendeva dall’autorità di un vescovo, ma dirattamente dal pontefice.
Nel 1106, un’alluvione dell’Arno distrusse la chiesa e parte del complesso, i Cadolingi fecero quindi ricostruire la struttura più lontano dalla riva, sul Poggio Salamartano.
La morte dell’ultimo conte Cadolingio, Ugo III detto Ugolino nel 1113, determinò una fase di declino dell’abbazia. Fucecchio rimase sotto il controllo dei Visconti di Fucecchio, che dovettero affrontare le mire dei vescovi e del comune di Lucca. L’acquisizione trovò poca resistenza e Fucecchio entrò a far parte del contando lucchese. Nel 1258 l’abbazia passò alle monache clarisse e nel 1299 passò ai francescani.